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                             francesco paolo vellino
 
 

Via Tragara è una delle più suggestive e famose di Capri: in un tripudio di piante e   di fiori che celano alcune fra le più belle ville dell’isola,  conduce alla terrazza che si affaccia sui Faraglioni, un belvedere celebrato in una famosa canzone portata al successo nei primi anni ’60 da Peppino di Capri ma scritta parecchi anni prima dal poeta Augusto Cesareo, “Luna caprese”. All’inizio di questa strada, tra il fioraio e la chiesa evangelica tedesca, sorge un piccolo atelier di pittura. Ci lavora un artista in un certo senso unico perché attraverso le sue opere è  capace di farti sentire tutto il suo amore per l’isola, un amore profondo e ragionato, colto, non istintivo e quasi metafisico. Quest’uomo, questo pittore caprese, è Francesco Paolo Vellino, ha 46 anni, insegna educazione artistica, cioè storia dell’arte e disegno, alla scuola media di Anacapri ed è anche uno dei più raffinati e conosciuti cultori e interpreti della canzone napoletana. Davanti alla porta-vetrina del suo studio è quasi inevitabile fermarsi. Per dare un’occhiata ma anche per scambiare due parole con lui. Lo fanno invariabilmente, richiamati dai colori e dalla luminosità delle tele e dal gusto delle miniature, i turisti più curiosi, in buona parte stranieri, quelli che non si stancano mai di cercare il folklore dell’isola. E Paolo, più che spiegare le sue tecniche d’altri tempi e descrivere il travaglio che gli richiede ogni creazione, ama illustrare i luoghi e i personaggi dei suoi quadri, soprattutto quelli della Capri scomparsa che  in qualche modo ne interpretano l’anima più genuina.

Amabile, pacato, quasi flemmatico, il tono basso della voce, nessuna indulgenza ai gesti delle mani, Vellino non si può certo dire un tipo caprese. Carnagione chiara, occhi azzurri, i radi capelli biondi, tradisce fin troppo la sua remota origine inglese. Il suo bisnonno lasciò a metà dell’Ottocento la brumosa Northumbria per il sole del Mediterraneo ma ai suoi discendenti l’anagrafe storpiò implacabilmente il cognome da Williams in Vellino con una di quelle trasposizioni di lettere e di accenti di cui nel napoletano si è maestri. Dietro l’amore di Paolo per Capri c’è sicuramente la componente istintiva che lega ogni essere umano alla sua terra ma c’è anche la consapevolezza, l’orgoglio, si potrebbe dire, di una eccezionalità che altri, in altri luoghi, non possono vantare. Per lui infatti l’isola ha un segreto che ne spiega l’appeal, un segreto che si nasconde dietro la sua storia, prima ancora che dietro la sua natura pure così privilegiata da spingere lo scrittore Raffaele La Capria a definirla “il luogo mitico dove la Natura incontrò la Bellezza”.    Eccolo, questo segreto: Capri è un microcosmo dove il presente e il passato ti seducono, ti incatenano e ti rendono vivo offrendoti continue occasioni per pensare, per misurarti e per alimentare la tua fantasia. “A patto, naturalmente, che tu ne abbia una”, sottolinea attingendo alla saggezza popolare Francesco Paolo Vellino e pentendosi subito dopo, inorridito dalle sue stesse parole: “Ma chi non ne ha una?”. Con il suo tono quieto Paolo ritiene di essersi spiegato, di avere svelato il segreto di Capri. Ma ce n’è un altro di segreto, che lo riguarda da vicino. La sua metamorfosi quando canta accompagnandosi con la chitarra, gli occhi a tratti socchiusi e sognanti e a tratti vivi e penetranti. E’ in quei momenti che si rivela in tutta la sua vitalità il fuoco del sud che arde nelle vene di questo epigone d’Albione ed è in quei momenti che esplode senza più schermi, come nelle sue tele, l’amore per l’isola, totalizzante, esclusivo, intenso quanto quello per una donna di cui si è pazzamente innamorati.

Stefano De Andreis, Ulisse, N.232